Perché un processo nella Chiesa…!?

Approcciarsi al mondo del diritto non è sempre facile, in primo luogo perché soltanto a sentire nominare il termine “diritto” ci sentiamo sospinti verso questioni ostiche che spesso ci vengono proposte dalla società attuale e di fronte alle quali pensiamo sia meglio fuggire per miglia e miglia lontani, ed in secondo luogo perché al termine “diritto” associamo, per tutta una serie di ragioni che ci influenzano dall’esterno, alcune circostanze o categorie che è bene rilegarle o affidarle solo a quei soggetti che si occupano del settore.

Tuttavia avere a che fare col diritto significa entrare nella magnifica fucina o ancora meglio nella stupenda bottega del giurista, dove scrutando gli attrezzi del mestiere possiamo invece riscoprire un mondo tanto antico quanto sempre ricco di novità in divenire che fanno sì che il diritto sia sempre vivo e che a mantenerlo in vita ci accorgiamo che in definitiva siamo noi, i suoi stessi operai e maestri artigiani.

Alla scuola del diritto ci accorgiamo poi che oltre ai mezzi scientifici offerti dalla giustizia, dal legislatore, dalla prassi e dalla giurisprudenza, ci sono anche i mezzi di divulgazione di cui il giurisperito non può fare a meno che servirsi per dare voce al diritto stesso.

In questa prospettiva è bene inquadrare il nostro giornale Vox Canonica, ossia il periodico online delle scienze canonistiche, perché tra i vari scaffali della fucina giuridica oltre ai vari arnesi del diritto civile, penale, amministrativo, internazionale, troviamo un marchingegno del tutto peculiare, che è il diritto canonico.

È un diritto molto antico che viene da lontano, vive e viene interpretato ancora oggi, e vivrà sicuramente negli anni, fintantoché gli artigiani attenti e premurosi metteranno sul loro banco di lavoro materiali e manifattura adatti per la sua corretta interpretazione.

Vox Canonica è strutturata al suo interno in alcune rubriche che trattano di alcuni ambiti del diritto canonico, convergenti tra di esse nell’unica manifattura giuridica ossia rendere testimonianza di fronte a Cristo ed alla Chiesa che il diritto non è arido, freddo, o solo tecnicistico, in confronto alle scienze teologiche o filosofiche, anzi al contrario esso è espressione altamente sociale della razionalità umana che si riconosce figlia ed ha fede nel suo Creatore e del quale ne vive in maniera umana, le leggi da lui affidate.

Tra le rubriche di Vox Canonica vi è quella intitolata “De processibus”, sui processi. Volutamente è stata formulata al plurale e non al singolare, perché anche nella Chiesa non esiste un solo processo, ma ve ne sono molteplici, e ciascuno presenta caratteristiche sue proprie e speciali ripartite in parti ben significative.

Se dunque dobbiamo trattare del processo, la prima domanda che ci viene alla luce, tra le tante, è sicuramente quella che risponde all’interrogativo: “Perché un processo nella Chiesa?” o meglio “Nella Chiesa che senso ha avere un processo?”, dal momento che in essa si insiste molto sulla composizione conciliativa delle controversie ovvero sulla necessità che siano evitate per quanto possibile le liti ed anzi addirittura le stesse siano ricomposte al più presto pacificamente. Basta confrontare il can. 1446 del Codice di Diritto Canonico per avere già la risposta positiva su quanto affermato.

Invero il processo è uno strumento dal quale non si può prescindere poiché sta alla base del fondamento razionale del diritto.

Il nostro collega Cicerone affermava: “Ubi societas ibi ius”, dovunque c’è una società c’è un diritto. È la società stessa che, ad un certo punto del suo stare insieme ha bisogno di darsi le “regole del gioco” onde evitare che il gioco stesso finisca male e che invece in esso si possa correttamente individuare chi ha giocato bene, chi ha barato, chi è stato meritevole di giocare.

Insieme alla natura razionale, il diritto ha anche una essenza relazionale che tocca l’essenza dell’uomo, cioè all’interno della società l’uomo scopre che ha bisogno di entrare in relazione con gli altri e che per fare ciò occorre avere delle regole. Perché avere delle regole? A cosa servono? Fondamentalmente ad essere “liberi”.

Nella dimensione relazionale dell’uomo va collocata dunque la ragion d’essere del processo.

il processo è un insieme di atti, è un procedere attraverso momenti e fasi ben scandite e distinte che parte da una fase iniziale e termina nella fase finale con una pronuncia giudiziale risolutiva della fattispecie proposta al vaglio di un organo terzo ed imparziale che è l’organo giudicante.

Chiarifichiamo subito una idea distorta che si ha del processo che è quella secondo la quale, come siamo abituati a pensare negli ordinamenti secolari, alla fine di un processo c’è “chi vince” e c’è “chi perde” o in altri termini il processo si concluda con un “vincitore” ed un “perdente”.

È del tutto erroneo pensare in questi termini, perché se alla fine del processo ci fosse chi vince e chi perde significherebbe ammettere che per qualcuno si ha un diritto e per qualcun altro il diritto non c’è.

Invece il diritto sotteso ad una precisa aspettativa da parte di un soggetto è un diritto in capo a chiunque, cioè ciascuna persona che vive in un ordinamento giuridico ha dei diritti che si esternano in delle aspettative, che può far valere nei confronti di altri e che può tutelare quando gli stessi vengono lesi da qualcuno.

Allora il processo porterà a riconoscere e giustificare una particolare situazione giuridica in capo ad un soggetto che la rivendica e a non riconoscerla in capo ad un altro soggetto che soltanto convenzionalmente chiamiamo parte soccombente, ma pur sempre destinataria all’origine dello stesso diritto che in quel momento non le viene riconosciuto.

Se allora il processo viene già in origine inquadrato in questa prospettiva, si arriverà alla conclusione che lo stesso non è uno strumento dissacratorio o vendicativo, utilizzato per decidere della vita delle persone, bensì esso diventa uno strumento di carità giuridica da utilizzarsi nella realizzazione della relazione comunitaria e sociale dell’uomo.

Possiamo chiederci se il processo sia un “metodo” di risoluzione dei conflitti o se esso sia anche un “luogo” non tanto fisico quanto razionale di risoluzione degli stessi?

Già in passato autorevoli giuristi nell’ordinamento italiano si sono posti il problema, cercando di darne una soluzione. Credo che ci siano riusciti; cito fra tanti Francesco Carnelutti, uno dei Padri del diritto processuale civile italiano, il quale sosteneva che il processo non è solo un metodo per comporre le liti, ma è anche un luogo naturale in cui alcuni valori si inseriscono nella struttura stessa del processo allo scopo di risolvere il conflitto.

Per noi canonisti direi occorre fare un passo in avanti, orientato alla Legge Suprema che impone al diritto Canonico di non tradire mai la salus animarum, e cioè vedere il processo come un metodo ed un luogo di esercizio di carità verso chi a volte, con dolore, si accosta a questo strumento giuridico.

Agire con carità vicendevole verso le persone che attivano un procedimento giudiziale, deve essere la nostra risposta cristiana alla sofferenza che affiora dall’interno dell’uomo e si esterna in un dolore che colpisce il suo spirito e la sua volontà.

In conclusione è conveniente puntare l’attenzione ancora su due circostanze attinenti al processo, che in questo primo saggio accenniamo solamente e che avremo modo successivamente di approfondire e puntualizzare.

La prima. Solitamente oggi siamo abituati a vedere come nei moderni sistemi, il processo o le regole procedurali sono disciplinate dal legislatore. Quindi il legislatore è l’unica mens capace oltre che di normare, anche di stabilire le regole procedurali, cui il giudice e le parti debbano attenersi. Ma non è stato sempre così; infatti nel passato, specificamente nel diritto romano, prima si celebrava il processo e poi si formava il diritto sostanziale. Basti pensare per fare un esempio fra tanti, al Digesto di Giustiniano che altro non era che una raccolta di formule giuridiche e decisioni emerse nei processi che davano fondamento al diritto sostanziale.

In secondo luogo il processo è lo strumento così sottile di applicazione della giustizia, capace di attuare le categorie della esigibilità, della coercibilità e della coazione. Infatti se la esigibilità deriva dall’essenza stessa del diritto nel suo significato oggettivo e stabilisce una relazione tra soggetti su una stessa cosa, la coercibilità invece è una proprietà essenziale del diritto, anzi essa è propriamente la forza del diritto stesso. La coazione infine è l’utilizzo concreto della coercibilità al fine di far rispettare le norme che la Chiesa stessa tutela in forza del suo fine soprannaturale.

Queste tre categorie fondanti del diritto si compongono e si incontrano nell’alveo naturale del processo, poiché in esso e attraverso di esso prendono corpo la risoluzione di una lite tra soggetti che divergono nella relazione su una stessa cosa (esigibilità), l’intensità con la quale la legge viene applicata (coercibilità) e l’uso stesso che viene fatto della forza nella applicazione della legge (coazione).

Il processo quindi raccoglie al suo interno queste tre dimensioni e proprietà del diritto, le attua, le rende sempre vive nell’ottica finale della consapevolezza dell’attuazione della giustizia.

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BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

Carnelutti F., Sistema del diritto processuale I, Padova 1936.

De Paolis V. – Cito D., Le sanzioni nella chiesa, Urbaniana University Press 2008.

Taruffo M. – Comoglio L. – Ferri C., Lezioni sul processo civile, Bologna 2005.

 

“Cum charitate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(San Giovanni Paolo II)

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