La formula del dubbio nei processi matrimoniali di competenza della Rota Romana

Rota
Palazzo della Cancelleria. Opera attribuita al disegnatore Specchi Alessandro, (data incerta), conservato presso l’Istituto d’Arte “Duccio di Buoninsegna”, Siena

Introduzione 

È trascorso ormai quasi un decennio dalla entrata in vigore della riforma del diritto processuale matrimoniale canonico e, a ben vedere, le modifiche introdotte hanno avuto ad oggetto non solo la fase del giudizio vero e proprio, ma anche il momento genetico dello stesso. Basti pensare infatti alla valorizzazione del principio di prossimità ecclesiastica, che si declina nella necessità di una più capillare informazione o cd. consulenza matrimoniale [1] previa rivolta a chi, volendo far luce sul proprio trascorso coniugale, desidera comprendere presupposti e modalità d’introduzione della domanda d’accertamento di nullità del vincolo sacramentale. A tal proposito, includendo anche altre figure di indubbia utilità, un ruolo preminente tuttavia è assunto dagli Avvocati che, per competenze tecnico-giuridiche acquisite, costituiscono un punto di riferimento saldo nella fase della consulenza e di successiva presentazione del libello [2].

Ciò brevemente premesso, in questo scritto, che costituisce la prosecuzione del precedente QUI riservato alla formula del dubbio nei processi di prima istanza, rivolgeremo l’attenzione alla concordanza del dubbio nelle cause matrimoniali rientranti nella competenza del Tribunale Apostolico della Rota Romana.

La formula del dubbio generica: un ritorno alle origini

An constet de nullitate matrimonii, in casu. È così che, dopo la riforma Mitis Iudex Dominus Iesus, vengono fissati i termini della controversia in Rota, tribunale d’appello deputato alla trattazione delle cause conclusesi in prima istanza. Diversamente dai tribunali di prime cure, ove l’indagine istruttoria deve essere condotta secondo le coordinate tracciate dal capo o dai capi determinati nel decreto di concordanza del dubbio – fatta eccezione per talune ipotesi in cui è possibile procedere alla modifica della causa petendi  (cd. mutatio o emendatio libelli), purché ciò sia giustificato da grave causa, in ossequio al can. 1514, per il cui disposto: “I termini della controversia una volta stabiliti non possono essere validamente mutati, se non con un nuovo decreto, per una causa grave, ad istanza di una parte dopo aver udito le altre parti ed averne soppesato le ragioni” – in Rota, al contrario, non è più così.

Nel Rescritto sul compimento e l’osservanza della nuova legge del processo matrimoniale del 2015, nella seconda sezione che lo compone e alla cui consultazione si rimanda [3], all’art. 1 è così stabilito: “Nelle cause di nullità di matrimonio davanti alla Rota Romana il dubbio sia fissato secondo l’antica formula: An constet de nullitate matrimonii, in casu”. Tale disposto, dunque, si pone in modifica all’art. 62 §1 delle Norme della Rota Romana [4] che così sancendo: “In causis nullitatis matrimonii formula dubii est: An constet de matrimonii nullitate in casu, additis capite vel capitibus”, stabilivano che vi fosse una definizione specifica del dubbio.

Un’antica prassi

Vi è in sostanza un ritorno all’antica formulazione generica, risalente alla prassi della Rota Restituta del 1908, così chiamata dopo la riforma Sapienti Consilio dello stesso anno, promulgata sotto il pontificato di San Pio X. Tuttavia nonostante all’epoca, le parti, secondo la Lex Propria, venissero citate per procedere alla concordanza del dubbio, senza che fossero specificati i contenuti, sono state rinvenute delle Decisiones all’interno delle quali alcuni Uditori formularono il dubbio in maniera specifica; da ciò è desumibile come, secondo l’antica prassi giudiziaria rotale, non sussistesse un obbligo specifico di attenersi ad una determinata formulazione. Sarà poi il can. 1891 §1 del Codice del 1917 a cristallizzare ufficialmente la regola per la quale, in Rota, non possa procedersi alla introduzione di ulteriori capi, in aggiunta a quelli già concordati in prima istanza e, rispetto ai quali, la formula, seppur implicitamente, ne supponeva al suo interno la presenza [5].

Conclusioni

Tutto ciò premesso, si può dire che, allo stato, la prassi processuale della Rota Romana sia del tutto coincidente con quella anticamente prevista. A nostro avviso, inoltre, gli effetti ottenuti, ad oggi, a seguito del Rescritto Pontificio, possono essere giudicati senz’altro positivi. Se è pur vero, infatti, che la genericità del dubbio comporti un’indagine più ampia, il cui focus non è limitato ai soli motivi trattati in prima istanza, si riconosce, al contempo, quanto essa contribuisca ad un più agevole accertamento della verità processuale.

Note

[1] Si v. sul punto “La consulenza matrimoniale previa alla luce del motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus”, in www.voxcanonica.com

[2] Cfr. Gli studi di Diritto Canonico alla luce della riforma del processo matrimoniale, 2018, n.2

[3] Cfr. Rescritto sul compimento e l’osservanza della nuova legge del processo matrimoniale, II-art.1

[4] Cfr. Le “Normae” del Tribunale della Rota Romana,  Libreria Editrice Vaticana (1997), p. 183

[5] Cfr. F. Heredia Esteban, La reintroduzione del dubbio generico nel Tribunale della Rota Romana: aspetti storici e prassi attuale, in Ius Ecclesiae (2021), p. 45

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Federica Marciano di Scala

Federica Marciano di Scala, avvocato della Rota Romana-avvocato civilista.

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